Centro d'arte e cultura Il Brandale Via Forni 2 Savona - Italia
Opere pubblicate
1. Ritagli di lamiera saldati all'arco elettrico su una sagoma di base a forma di carena di nave; il metallo è stato successivamente trattato con vernice antiruggine rossa (1963)
2. L'involucro è ricavato da spezzoni di tubo e di tondo d'acciaio dolce tornito, lacerato con scalpello e arco elettrico; l'interno è una struttura alveolare di lamiera saldata, di cui alcune parti sono state successivamente bruciate alla forgia (1964)
3. Lamiera di acciaio dolce piegata e saldata elettricamente con aggiunta di elementi meccanici. Parzialmente lucidata e trattata con vernice trasparente antiossidante (1965)
4. PRATO SOLE: elementi in lamiera saldati su struttura metallica di base (1966)
5. INSEGNA (serrare forte - aprire lentamente): l'intera composizione è realizzata con oggetti recuperati e utilizzati nel pieno rispetto della loro forma iniziale (1967)
6. INCIDENTE ("ceramica"): giocattoli in plastica colorata uniti e trattati con fiamma ossiacetilenica (1969)
7. FEDERICO DI MONTEFELTRO (profilo ruotato): acciaio dolce tornito su tornio a copiare (1972)
Perché una scheda? E perché la descrizione analitico-operativa di una "campionatura" delle opere? Almeno per due motivi. Una prima ragione, la più periferica in realtà, è la scelta di staccarsi da ogni tipo di presentazione, purtroppo consueta, accattivante ed enfatizzante, dove la posizione del critico oscilla dalla figura di imbonitore a quella di persuasore occulto.
La ragione centrale, invece, è che qui non si vuole fare opera di mediazione tra pubblico e opere, ma lasciar parlare i materiali, che presentano, per così dire, da soli un loro discorso formale. Il procedimento con cui ferro e ceramica sono manipolati diventa il linguaggio dei materiali. Da qui la necessità di una scheda che documenti il modo con cui gli oggetti sono stati realizzati, la struttura, cioè del discorso che Antibo cerca di svolgere. E da qui pure il motivo per cui questo discorso procede per bruschi cambiamenti, nel rispetto del materiale usato, unito ad una disposizione, non pregiudicata dai limiti della distanza provinciale, a filtrare il più generale discorso dell'arte contemporanea.
L'impiego del ferro e della ceramica non è una scelta nel vero senso del termine: Attilio Antibo usa il ferro ormai da tempo come strumento di lavoro, ma qui, capovolgendo il senso della strumentalizzazione e dei processi della produzione "utilitaria", recupera valori contenuti nel materiale stesso, ma che stanno al polo opposto: una produzione "inutile" basata a volte su un recupero delle possibilità offerte dalla materia, a volte recupero concreto di oggetti in disuso.
Anche la "scelta" della ceramica ha questa motivazione di fondo. In più c'è da dire che la creta presenta caratteristiche sue proprie di plasticità - e in questo è opposta al ferro - caratteristiche che, tra l'altro, le hanno fatto a volte subire nel tempo violenze di ogni tipo, fino a perdere la sua identità primitiva, che pure era di oggetto povero, di strumento quotidiano.
L'oggetto in ceramica è invece qui interpretato come la sintesi di due momenti d'intervento: il primo è una ricerca dinamica di forme ottenute tagliando la terra con un filo di acciaio, il secondo è un "congelamento" di volumi sfaldati dal taglio, in un lento irrigidirsi che sarà completo solo dopo la cottura.
(Queste note, redatte da Vanna Varnero, sono il risultato di una analisi collettiva svolta all'interno del gruppo di ricerca di cui Antibo fa parte)
La creta, durante l'essicazione, ha un ritiro, quindi dei movimenti naturali che saranno esaltati durante la cottura e resi evidenti, a volte, da piccole venature, stacchi di materiale, ecc..
Ai movimenti naturali della creta si possono sommare dei movimenti voluti dall'operatore: sono parti di materiale che si muovono rispetto ad altre, ferme.
La creta può essere facilmente tagliata, per farne parti, con un filo, in genere metallico.
Con un unico taglio nella creta si possono ottenere, sia l'elemento che deve muovere, sia la traiettoria che può percorrere. Tali traiettorie, per permettere il più ampio spostamento degli elementi, dovranno essere rettilinee o tratti di arco di cerchio: avremo movimenti di traslazione e di rotazione.
Per unire parti si impiega creta resa molto fluida con aggiunta di acqua.
Gli elementi possono muovere con più facilità lungo i loro percorsi, eventualmente scontrarsi e deformarsi, se questi sono cosparsi di creta molto fluida che, durante la essicazione, fissa gli elementi nelle posizioni raggiunte.
Studio d'arte contemporanea
00196 Roma
Con l'inserimento di elementi organici nei dati geometrico-plastici, la ricerca di Attilio Antibo rientra nell'ormai ricco filone di tutta una nuova poetica dell'ambiguità; almeno per quanto riguarda i suoi "smottamenti", degli anni 74-75. Ma all'interno di questa poetica, e più recentemente al difuori di essa, l'operatore savonese si distingue per una sua particolare attitudine: quella di stabilire un rapporto diretto e non traslato tra la forma che egli costruisce e il medium a cui egli la affida.
E' più facile comprendere questa sua capacità mediante un raffronto: per esempio con le grandi sculture in gesso bianco del cecoslovacco Stanislav Kolìbal, che risalgono agli ultimi anni dello scorso decennio. Antibo non le conosce. Esse rappresentano forme geometriche a un tratto negate dal disciogliersi nebuloso della materia che le compone: il soggettivismo onirico dell'Europa orientale trova in quegli ectoplasmi un'intrigante formulazione ideoplastica. Direi che gli smottamenti di Antibo sono la versione mediterranea, ossia "classica", di una problematica affine, affrontata in uno stadio temporale più avanzato, in cui il nuovo alfabeto di forme si articola e comincia a costruire. Negli smottamenti entrano due elementi di concretezza. Primo: una materia prelevata da un contesto culturale di base. Non occorrono particolari iniziazioni per sapere che la terracotta è composta di terra, almeno in tutti i paesi del mondo in cui terra e fuoco sono stati strumentalmente uniti. Quindi il messaggio sceglie un mezzo che racchiude in se stesso un massimo di comunicabilità. (Il gesso invece è un "segno" derivato dalla storia delle arti plastiche, e connota una fase del procedimento produttivo della scultura occidentale. Siamo abituati a vederlo come "significante", ossia a vederlo sempre "formato": il suo disfarsi è desemantizzazione; è, in modo impressionante, la contraddizione comunicata della comunicazione impossibile).
Secondo elemento di concretezza degli smottamenti di Antibo: un'azione dichiarata: tagliare. C'è l'intenzione, il controllo, la provocazione dell'intervento. Il gesso iconoclasta di Kolìbal, astrattamente fluidificato, era lo stampo di un'idea di contrasto tra lo stimolo a simbolizzare e la veste del simbolo, ossia tra l'energia ideativa e l'imprescindibile realtà fisica in cui essa è costretta. Non vi erano sbocchi possibili della "stasi" meditativa, se non nel ricorso disperato all'evasione metafisica. L'uomo, o il mondo: un'alternativa. In Antibo invece l'idea è indivisibile da una realtà materica verificabile, e dalla presenza oggettivata dell'azione umana (tagliare). E' l'espressione di un popolo di artigiani, di mangiatori di pane; che tagliano il pane e credono a quello che toccano. Del resto vi è un rapporto molto preciso tra manipolazione della terra e gesto del tagliare. Il taglio di Fontana è derivato dalla sua familiarità con la ceramica: attraverso Fontana la originarietà della terra entrò come elemento di trasgressione nella tela coatta.
La terra di Antibo è insieme terra decontestualizzata, terra da riprodurre, terra da cuocere: è identità ambigua di significante e significato. Dice leggibilmente "terra" (mentre il gesso di Kolìbal dice "limite") perché la formazione resta legata ai fatti di terra che miniaturizza; e dice "smottamento". L'esistenzialità trova e accetta (senza univoca enunciazione di conflitto tra livelli diversi nell'ambito della comunicazione) i propri canali linguistici, ossia di rinvio associativo, aperti dall'uso strettamente relazionale di forma e materia: viene naturale pensare che dopo gli smottamenti l'operazione di Antibo incontrerà nel suo cammino anche il codice verbale, e s'inoltrerà così in più complessi e sorprendenti meandri semiologici. Farà piatti verbalizzati. Prima si giuoca con la terra, poi si mangia la pappa nel piatto e s'impara a parlare.
Gli smottamenti di Antibo sono blocchi lisci, sezionati. Intere porzioni si staccano e stanno per scivolare. Sono nette, non connotano il "franare": la frana è l'informale della crosta planetaria, mentre lo smottamento è procurato dall'uomo. Sola presenza formante e deformante è il gesto: l'operatore non toglie, non mette, mantiene tutto: la parte da cui la porzione slitta e la parte slittante. Sono piuttosto piccoli, diciamo un po’ più che mattoni. Ciò denota "tangibile" (mentre i vasti fantasmi di Kolìbal sono l'idea, l'inafferabile). Suggeriscono, per nesso logico, una gigantesaca statura dell'uomo, cresciuto per dominare gli eventi fino ad approdare nel surreale paese di Gulliver. Questa terra di Antibo, dislocata, bloccata, staccata in curva quasi da un grande cucchiaio per essere sorbita, prende la sua rivincita: rompe la geometria, contesta l'astrazione, si accavalla in un punto. E' la fenomenologia che, ricacciata dalla razionalità, trova un tallone d'Achille e vi si rintana. Lo spigolo si fa labbro, il bordo abrasione. L'incidente nel preordinato: ma l'incidente è l'unica cosa che non sia incidentale, è la legge trovata; incidente è la volontà dell'uomo, il suo ordinare, dividere.
Questo scontro tra volontà e legge (e, ambiguamente, tra significante e materia) è un dramma plastico (e ambiguamente, linguistico) concentrato in pochissimi centimetri. Il poco determina sempre una grande forza implosiva; e Antibo lascia che le cose succedano, ma, astutamente, che succedano solo un poco. Tuttavia succedono, è un momento congelato, anzi cotto; ciò che simulava un'astanza strettamente spaziale dimostra improvvisamente d'includere la dimensione tempo. Ci scopriamo inseriti nel procedimento, presi a testimoni di un fatto oggettivo; nella post-Arte, nella poiesis, sulla viva sponda del trouvé, delle cose che il non più artefice controlla con meraviglia senza condizionarle. Con la stessa distaccata volontà di verifica Antibo più tardi, nei piatti, cercherà di pronunziare anche il nome dell'accaduto.
Egli parte da Fontana e Fontana dal Rinascimento: guardare negli accadimenti per farli parlare, farli comunicazione, scientificamente, italianamente; ma ora dal punto di vista postumanistico della relatività. Cercare come nel passato le prove di essere (mentre Kolìbal parte da Kafka e dalla Cabala: costruire dubbi per esorcizzare il dubbio di essere). Queste prove, questi smottamenti, sono la terra di oggi affettata e teneramente vendicativa: Antibo sembra voler portare in essa i segni della tecnologia, quasi a cercare un riscatto del presente nel grado zero del tellurico. Infatti gli strumenti ch'egli usa sono, non solo il filo per tagliare, ma lame da seghetto; cose da meccanico, che dovrebbero servire per il metallo, e che, con la terra, hanno un rapporto forzato, ossia rigorosamente evocativo.
Mirella Bentivoglio
N.94 del 1976
Memoria e linguaggio del cotto
A cura di Luigi P. Finizio
…Emerge, da queste esperienze menzionate, come l'assunzione del cotto risponda ad una scelta precisa e di orientata formulazione espressiva all'interno della virtualità del materiale. Ma, ulteriormente, la scelta del materiale può porsi quale essenziale termine di riflessione delle pratiche ceramiche e di suscitazione formale: è il caso del ligure Attilio Antibo.
Per Antibo l'impiego del cotto vuol essere in primo luogo un atto rigoroso di riconduzione della ceramica alla sua primitiva identità di materiale povero. L'intervento operativo nelle definizioni formali risulta di conseguenza aderente all'intento di ricostituzione primaria del materiale ceramico. Ne viene un fare che è pure riflessione sul fare. La disponibilità primaria della creta è, di per sé, come ho già detto, una scelta formale ma Antibo ne vuol mostrare gli accadimenti più segreti e accidentali. Tramite alcune procedure tipiche della manipolazione ceramica come il tagliare la creta con un filo di acciaio, l'esposizione all'essicamento, l'aggiunzione di altro materiale, la copertura a colore, l'artista ne analizza la dinamica per assecondarla o volgerla a determinarsi in forme. Antibo parla sensibilmente di "dinamica terra" e i suoi oggetti in cotto ne costituiscono una sorta di inventario fenomenico. Mi scrive: "Gli oggetti ottenuti, conseguenti a questa 'dinamica della terra' (movimenti naturali + movimenti voluti) sono simbolici e soggettivamente interpretabili. Per orientare il fruitore anche verso una conoscenza del metodo che determina le forme, si può scomporre la dinamica nei suoi diversi momenti e la manualità del procedimento riducendolo alle varie operazioni".
Perché questa dinamica si faccia maggiormente evidente occorre che il suo accadimento organico si confronti entro strutture razionali. Il muoversi del materiale nelle contrazioni di essicamento confluisce nella dinamica di altro materiale aggiunto, producendo, nella semplice operazione energetica di sottrazione e addizione, l'oggetto formale che la dinamica stessa ha costituito.
Questa aderenza del determinarsi della forma alle procedure tecniche stabilisce nell'opera di Antibo una sorta di circolarità apodittica, in cui l'epilogo resta l'identità del cotto. Non vi è dubbio che ancor più della Guidi quella dell'artista ligure è una procedura che attraversa la storia dell'arte ceramica per azzerare la sua condizione espressiva.
Similmente a certe esperienze attuali di riconduzione del fare pittura alle pratiche che decostruiscono la stroria del fare pittura, Antibo attraversa la sedimentazione storica delle pratiche del fare ceramica per ricostituirne l'identità primaria.
Luigi Paolo Finizio
Centro d'arte e cultura Il Brandale Via Forni 2 Savona - Italia
Ai movimenti naturali del materiale si possono sommare movimenti voluti dall'operatore. Gli oggetti sono conseguenti a questa dinamica. I movimenti naturali del materiale sono: piccole crepe, stacchi di materiale, deformazioni, ecc..
I movimenti voluti dall'operatore sono: movimenti di parti di materiale sui piani generati dal taglio, movimenti di liquidi (acqua, fango, colore per ceramica) su oggetti tradizionalmente in cotto (mattoni, ciotole, tegole, ecc.) o su elementi di terreno (solchi, cumuli, ecc.), movimenti reciproci fra elementi di terreno ed oggetti in cotto.
Per la mostra alla galleria Arti Visive in Roma
Riaffidiamoci alla manualità e agli elementi primari della terra e del fuoco: rinasce l'oggetto fittile dalle origini primordiali, dalla persistente consuetudine di fattura e d'uso. Questa è una delle indicazioni affidate ai "mattoni" e in genere alle terrecotte di Attilio Antibo (Arti Visive, via A.Brunetti, 60). Terra e fuoco. Antibo concepisce, e fa, blocchi lisci del colore e della consistenza di un mattone, poco più. Ma in ciascuno di essi provoca, quasi a rievocare l'insidioso mistero tellurico uno "smottamento": una parte della forma scivola in avanti, procede e si arresta. La precarietà è però apparente perché la forma si assesta nella sua diversificata struttura. Ma se, come scrive la Bentivoglio nella presentazione, l'operazione di Antibo dovrà incontrare nel suo "cammino anche il codice verbale", è naturale trovarsi davanti i "piatti verbalizzati"; perché, infatti "prima si gioca con la terra , poi si mangia la pappa nel piatto e s'impara a parlare".
E ecco la serie dei piatti: dodici. Un caso, un calcolo di impaginazione compositiva oppure un rimando alle consuetudini domestiche? Ogni piatto gioca col colore, non belletto ma bruciante materia che si assorbe alla terracotta e intanto combina giochi di colate e di segni, secondo che a condizionarne il percorso liquido siano il bordo del piatto o la terra riarsa o i segni concentrici del tornio.
Dalla fatica della terra smottante al lavoro approntato dall'uomo, mentre sul fondo la parola graffita conferma il significato: del gesto, dell'uso, della voce di ogni giorno.
Sandra Orienti
Sale Inferiori - Via Baldassini Gubbio - 20 agosto - 10 settembre
Il discorso, articolato e non lineare, che Attilio Antibo va svolgendo ormai da qualche anno, muove da una premessa tanto semplice quanto radicale: la scelta di porsi di fronte alla terra prendendola, letteralmente, per quello che è: la materia prima per definizione. E' tale in quanto suolo che calchiamo (oltre che supporto su cui è allestito il teatro della nostra vicenda collettiva); massa percorsa da sommovimenti; materia da cui l'uomo ricava, da sempre, gli utensili per l'alimentazione. E, per questa sua primarietà, luogo, fisico e concettuale, a cui tutto (riti, significati, cultura) riconduce, come al deposito simbolico-linguistico sedimenandosi nella evoluzione dell'umanità.
Non è dir poco, a voler dar conto dell'esperienza di un singolo operatore. Valga dunque l'osservazione dei lavori. Il solco tracciato dall'aratro. Gli "smottamenti" (fratture della crosta terrestre nella versione di composte forme tridimensionali).
Vasellamme. Il materiale-terra incorporato nei più comuni oggetti d'uso: pavimento, tegole, mattoni da costruzione (e la conseguente azione del costruire). La manipolazione in cui si esprime la impegnata creatività infantile: è inventario di oggetti, rappresentazione-analisi di fenomeni, riproposizione dell'esperienza. Tra candore e sottigliezza. O meglio, con finto candore. Perché, volendo guardare al di là della sua apparente semplicità, è un discorso che ha motivazioni complesse. Procede per svolte. E i suoi esiti sono imprevedibili.
Antibo si esprime con la materia più usuale e disadorna, povera. Tanto priva di valore, in sé, che si è dovuto deviarne la destinazione, farne un uso improprio per trasformarla in oggetto decoroso: il piatto in ceramica che adorna la parete. E' raro che vi sia casualità casualità nelle parole: e l'aspirazione, tutta perbenista e piccolo-borghese, al decoro, non dà soltanto ragione del termine decoratività, quanto mai pertinente per la ceramica d'arte ma (e proprio in virtù del linguaggio) di un consistente fenomeno di costume: l'aspirazione ad elevarsi al di sopra della terra, che viene attuata simbolicamente col negare la sua stessa materialità; col riscattarla (e il renderla irriconoscibile) in opere luccicanti di "smalto". (1)
Antibo rinuncia ad ogni "abbellimento". Non fa uso del colore, salvo che per visualizzare un elemento (l'acqua); non ricorre agli smalti (e i suoi piatti, non destinati alla parete, poggiano sul piano). La sua è sempre soltanto terracotta. Ne ha la consistenza e ruvidità, il colore. Un materiale che si direbbe negato alla vocazione espressiva. Accade però che questi oggetti comunichino. Che la terra sia indotta a parlare se stessa: oggetti, situazioni, fenomeni sono tracce che depongono sulle molteplici, coinvolgenti relazioni tra l'uomo e la terra. La virtualità espressiva di questi segni sta in questo: che inducono ad un ri-conoscimento; ad attualizzare, disseppellendo strati della memoria, esperienze, gesti, abitudini. Sembra questa la chiave di lettura delle opere. Si veda la "ciotola"; sbrecciata, corrosa, è saldata al terreno in una compenetrazione inspiegabile se non come tautologia plastica: il suo con-fondersi con l'argilla non ne ribadisce forse l'origine? E non sappiamo se ci siamo imbattuti nel reperto di uno scavo archeologico o negli avanzi di un pasto frugale abbandonati sul terreno. E' chiamata in causa l'indeterminatezza del significante; essa dà luogo ad una sovrapposizione di significati che attribuisce una intensa connotazione al dato oggettuale apparentemente esibito in funzione denotativa (non a caso si è detto del finto candore di Antibo). Così in altre opere. Laddove la "dinamica degli elementi" (acqua defluente e terriccio-argine) è riportata alla scala del piatto, assunto così come terreno, suolo. (E consumando, con l'invertire il rapporto di grandezza tra l'uomo e la terra, una disinvolta trasgressione del senso comune). Qui la sovrapposizione di significati è fra distaccato esercizio e racconto, fra intento didattico e fervida adesione al mondo dei giochi infantili. Vi si intrecciano due altri momenti e stadi, implicanti una successione temporale plausibile per la marcata concettualizzazione che come una vena sotterranea percorre tutto il lavoro di Antibo: l'azione (a volte decisa se non di una contenuta violenza) e il suo materializzarsi nell'oggetto. Gesto e contemplazione. Ritroviamo questi due momenti anche nella "biglia" che, rotolata dall'orlo del piatto, segna un tracciato che ne taglia le fini rigature. E in quei lavori in cui nel "tema svolto" è presente lo stesso procedimento di lavorazione della terracotta; qui il manufatto fissa, restituendola come opera (come oggetto compiuto) il gesto trascorrente; l'"attimo fermato" richiama, fa rivivere una pratica tecnologica che, lontana come un bene già posseduto dal nostro impoverito e asettico frequentare il mondo, leggiamo come mito. Il rapporto con la terra si configura in modo più mediato, e problematico, negli "smottamenti". Se negli altri lavori, successivi, si realizza una sorta di regressione, nel senso che la loro assunzione secondo modi culturalizzati lascia il posto ad una partecipata aderenza al mondo e agli oggetti evocati o riprodotti, qui il fenomeno (il movimento tellurico) viene allontanato dal piano dell'immediatezza di riferimento. E' un evento terroristico, non può dar luogo a identificazione. E' dunque da evitare l'impatto. Se ne offre una versione traslata, rassicurante, per mezzo di due accorgimenti che ne dissinescano la terribilità: "porgendolo" come oggetto plastico e "riducendolo" alle proporzioni della praticabilità (manuale e visiva) dell'uomo. (E sarà il caso di osservare che la "miniaturizzazione" del fenomeno - come è stata definita - ripropone quell'inversione del rapporto di grandezza tra l'uomo e la terra che avevamo già notato). La rappresentazione dell'evento traumatico è resa così plausibile (accettabile). Si può guardare ad essa. Il che deve pur significare qualcosa se si pensa che i casi e gli eventi troppo carichi di intensità drammatica sono inenarrabili (di conseguenza, non rappresentabili). E se ne distoglie lo sguardo: giova a ricordarcelo la stessa tradizione retorica iconografica e della recitazione. Una sorta di tabù ci tiene a distanza dall'orrore (2).
Rimbalzi e intrecci di significati. Più livelli di lettura. Sottile ma puntuale trama di rimandi linguistici che si articola sul filo dei rapporti gesto-immagine-parola (la "talpa", il "libro-terra"). Non è da pensare che tutto questo sia contenuto nel progetto operativo di Antibo (sarebbe un ben ingombrante bagaglio). La sfaccettata molteplicità dei significati leggibili in questi lavori ha però il suo punto di convergenza in quel suo tutto personale approccio alla terra che si è chiamato in causa, ma finora in modo generico. Occorre esplicitarlo, spostando il discorso sulla pratica operativa che impegna Antibo a trattare questa materia prima con estrema consequenzialità. L'autore informa il suo rapporto con la terra ad un codice di comportamento che (come sempre avviene, del resto) è all'origine dello stesso codice linguistico. Assume come regola il rispetto del materiale: delle sue proprietà, requisiti, destinazione. Lo indaga, ne saggia il comportamento; ne riproduce-spiega la fenomenologia. Svolge un "lavoro da manuale". E' lui stesso a scrivere che il suo lavoro consiste nell'"analizzare il procedimento in quanto determinante la forma". Ed è sulle fasi operative, e sui fenomeni cui danno luogo, che insiste quando "allega" alle opere una descrizione dei dati tecnici, degli interventi compiuti, della dinamica e fenomenologia del materiale. Il tutto è riducibile a poche operazioni essenziali, impiegando "mezzi elementari e forme semplici": taglio, servendosi di un filo d'acciaio, "di parti di materiale e loro scorrimento sui piani che ne conseguono", a cui segue lo scorrimento del liquido-colore su terra. Inoltre: movimenti naturali del materiale (piccole crepe, stacchi, deformazioni) e di liquidi in oggetti tridimensionali in cotto o su elementi di terreno (solchi, cumuli). E così di seguito, nella concisa prosa referenziale del linguaggio didattico. E' tutto verificabile, "vero". E tutto ricondotto - è questo il punto - ad un atteggiamento che ridimensiona l'opera dell'artista ad un esercizio tecnico-esecutivo. Se è lecito un ulteriore sconfinamento sul terreno extra-artistico: sarà forse di qualche interesse rilevare che questa sobria considerazione del proprio fare, non priva di un certo "puritanesimo tecnicistico", è rivelatrice di un dato, a nostro parere dominante nell'area savonese, cui Antibo appartiene. E che è marcatamente segnata da una cultura (se non da un'ideologia) pragmatica i cui limiti sono evidenti, certo, ma che ha indotto a coltivare i valori "positivi" della competenza tecnica e scrupolosità esecutiva. Basterebbe addurre l'esempio dei lavori dedicati alle "dimostrazioni" dei movimenti dell'acqua, svolte in tutte le possibili varianti (defluire, confluire, versare, arginare, ecc.) dove l'intento didattico viene dichiarato col sovrapporre alla riproduzione plastica della "dinamica degli elementi" - di cui l'opera si propone come mera illustrazione - tanto di definizione, correttamente ripresa dal dizionario. (E per regolarità e proprietà la grafia è quella che ci attende da un diligente alunno di scuola).
E' delineato un modello culturale che fornisce ad Antibo le modalità di approccio alla materia stessa della sua opera, secondo il codice di una professata ideologia tecnicistica. Ma niente più di questo. Ed è un modello che non serve come griglia di lettura. Nell'autore è presente - è vero -. Un atteggiamento di distacco rispetto ai significati delle opere, ma non certo per proporne la fruizione in quanto meri prodotti di un'operatività tecnico-manuale, esteticamente inerti: "gli oggetti ottenuti, conseguenti a questa "dinamica della terra" - scrive - sono simbolici e soggettivamente interpretabili". Se egli evita l'attribuzione di significati ai suoi lavori è dunque per non arrogarsene l'esclusiva. Non se ne appropria "ideologicamente" per non costringerli entro la gabbia di una lettura limitante, unidimensionale. Si impone così di mantenere il discorso sui soli aspetti tecnico-esecutivi. Quanto al resto, le opere sono lì, da leggere (3).
Le motivazioni che agiscono al fondo. Antibo compie un viaggio a ritroso nel tempo e nella memoria, ripercorrendo - e quasi ricapitolando - pratiche di impiego della terra che si sono consolidate in esperienze, abitudini sociali, sapere. Cultura e mito. Spessore di riferimenti simbolici. Ed è per questa ragione che le stesse opere affidate al linguaggio iconico-verbale attingono pienezza di significati. Ci restituiscono valori, contenuti che sono momenti del nostro vissuto. Agisce il meccanismo dell'identificazione. E' promosso, si diceva il ri-conoscimento: laddove ri-conoscere è cogliere il nucleo di verità contenuto nella nostra inconsapevole pratica delle cose.
Se e in qual modo tutto questo sia ciò che si ha da intendere per "arte" non sappiamo. E il lavoro di Antibo è tra quelli che si presterebbero a svolgere il tema dello "specifico estetico". Nei termini, s'intende, in cui lo propone la stessa esperienza attuale, vista la messa in dubbio di già consolidate certezze e la svalutazione in cui è in corso lo stesso manufatto (ma che ha già attivato la controtendenza della riscoperta dei "materiali"). Ma ora può essere sufficiente riconoscere che questi lavori si situano in quella già ampia zona operativa che - come ha rilevato Mirella Bentivoglio - documenta che è iniziata l'era della post arte. Alla crisi storica che ha determinato il venir meno della rappresentazione delle cose in funzione artistica, ha fatto seguito la crisi d'identità dell'opera d'arte. Non della comunicazione, che si dà altri presupposti, ricerca altre vie, formula una domanda alternativa.
Stelio Rescio
(1) Un fenomeno sociologicamente rilevabile, pensiamo; così come pensiamo che su questa stessa spinta a "prendere le distanze" dalla terra si costituisca la discriminante, anche nel senso della diversa destinazione sociale, che separa la più antica tradizione dell'artigianato popolare dai prodotti di "fruitori" che, appartenendo agli strati intermedi, sono, appunto, i destinatari di un'arte considerata "minore", rispetto ai prodotti il cui accesso è riservato al ceto medio-alto borghese.
(2) Le ragioni dell'arte e della cultura vanno assieme, anche se spesso si incontrano per vie che appaiono misteriose. Non riteniamo quindi che sia una forzatura l'accostamento di questa esperienza all'antico mito rievocante il dramma primordiale dal quale secondo Freud ha tratto origine la cultura. L'esigenza era di ripetere ritualmente l'evento traumatico, di pervenire a controllarlo recitandolo. Si rifletta: re-citando, dal verbo citare, cioè riferire testualmente secondo i modi della formula ripetitiva, il che risponde all'intento di sorvegliare la propria quota di coinvolgimento emotivo. E' un'esigenza, razionalissima, di liberazione che passa per l'assunzione del dramma che in un certo senso diventa conoscitiva (con l'esperirlo ripetutamente e collettivamente, espungendone l'effetto traumatico). Posto che l'angoscia è, insieme, terrore dell'evento e dell'ignoto (delle cause che lo producono).
(3) E ci si potrà dire che le abbiamo lette sulla linea di una spregiudicata autonomia rispetto alla oggettualità delle opere. Fino a caricare su di esse il peso di una costruzione sovrastrutturale, trasferendo il discorso su piani che trascendono la stretta lettura linguistico-formale. Sarà allora il caso di precisare che l'esercizio critico qui si propone come opzione rivolta ad un rapporto dialettico con l'opera: due momenti più che in relazione necessaria, in tensione tra loro; dove il secondo, che attiene alla riflessione, non è mera mediazione officiante la fruizione, ma intervento (discorso e/o elaborazione) a partire dall'opera, svolgimento di un tema. Il rischio è di un appiattimento dell'opera, usata come pretesto, per gratuite esercitazioni, oltretutto parassitarie. All'opposto, la proponibilità della scelta sta nella concezione - che sosteniamo - dell'opera d'arte come momento del generale sistema della comunicazione, negandole, come le va negato se l'opera d'arte è linguaggio e non gergo, lo statuto privilegiato che la isola nella propria autosufficienza e separatezza. La questione sarà semmai di ricondurre i messaggi, interpretati dall'interno della loro specificità linguistica (è questo il debito a cui l'ufficio critico non può sottrarsi) al sistema generale della comunicazione: e si vuole intendere l'insieme delle articolazioni, culturale e non (o meglio, ai vari livelli culturali), storiche e dell'attualità ("il presente come storia") della vita collettiva. Svolgendo insomma "il filo del discorso".
Il libro terra di Antibo a Tokyo
Con la mostra di poesia visiva italiana e di volumi-oggetto italiani a Tokyo, il trapianto della nostra poesia visiva e oggettuale in un contesto sociologico e non soltanto linguistico diverso ha permesso di constatare come il linguaggio verbale non sia che uno dei diaframmi da superare: il prevalere dell'immagine sulla lingua (nei testi poetico-visivi) o l'assenza totale del ricorso al linguaggio verbale (nei volumi-oggetto) non sono bastati ad aumentare la diretta fruibilità del messaggio.
Infatti tutti i "segni", i "rinvii ad altro" - in questo caso impliciti nelle connotazioni referenziali non verbali dei testi poetico-visivi e dei volumi-oggetto - si rifanno ad altrettanti chiusi linguaggi, codificati dalla conoscenza comune all'interno di un dato ambiente etnico e sociale. Il libro-terra di Attilio Antibo ad esempio, un mattone di terracotta aperto nel mezzo fino ad assumere forma e misura di libro - con un ruvido nucleo nella piega interna vagamente arieggiante i contorni di un sesso femminile - scopre due facce-pagine percorse da regolari solchi orizzontali che rinviano all'idea di righe-scrittura. Il concetto di cultura trova in questo coinvolgente oggetto la sua radice etimologica, coltivare; il suo strumento-simbolo, la cellula del costruire; la metafora del mattone col libro, utensile del conoscere; la proiezione plastica dell'azione del "rompere", del "guardarci dentro"; e, nel nucleo interno romboidale non solcato, la forma-metafora della materia-matrice, la terra.
Questo messaggio plurimo, che sembrerebbe capace di varcare la barriera nazionale linguistica, in Giappone resta apparentemente muto; le case giapponesi non sono tradizionalmente costruite con mattoni perciò la referenza plastico-cromatica non viene raccolta; nel paese del riso si conosce poco l'aratura, concetto da noi connesso con significati di ritualità; la scrittura nipponica non si svolge tradizionalmente in senso orizzontale e così cade anche il secondo termine della metafora solco-scrittura; il "libro" qui non ha più di un secolo, ciò che impedisce di riconoscerlo nelle sue deformazioni metaforiche. Ogni tipo di comunicazione anche extraverbale si rifà ad un codice, e un codice universale non esiste, proprio perché ogni elemento della nostra esistenza è linguaggio.
Eppure l'innesto di due culture è sempre fecondo, grazie ai misteriosi legami archetipici tra segni di mondi diversi. Non solo forma, colore, tattilità del libro-terra hanno risvegliato nel fruitore nipponico echi profondi; ma un nuovo rapporto è scaturito tra l'oggetto-poesia e il suo nome, perché i due ideogrammi che rispettivamente significano libro e terra, se accostati significano origine; il nome ha concentrato tutta l'attenzione sulla materia primaria della drammatica forma centrale.
Mirella Bentivoglio
Via Brera 11 20121 Milano
Ai movimenti naturali dell'argilla, in fase di lavorazione, essicazione e cottura, si possono sommare elementari movimenti di lavoro.
Gli oggetti sono conseguenti a questa dinamica.
I movimenti naturali del materiale sono:
piccole crepe, stacchi, deformazioni.
I movimenti di lavoro finora considerati sono:
- movimenti di materiale allo statoplastico, terriccio, polvere, fango;
- movimenti di liquidi (acqua, colore per ceramica, metalli fusi) su oggetti tradizionalmente in cotto (mattoni, piastre da pavimento, tegole, ciotole, ecc.) o su elementi di terreno (solchi, cumuli, ecc.).
Piazza Portello 6 R 16124 Genova
Crepe, ritiri, deformazioni: movimenti che avvengono nel corpo dell'argilla durante l'essicazione e la cottura: una fenomenologia primaria le cui tracce, di solito, non appaiono negli oggetti finiti perché considerate difetti.
Mi interessa questo carattere proprio del materiale.
Per renderlo evidente e determinarlo in forme, ho ridotto l'intervento operativo ad elementari movimenti di parti di materiale allo stato plastico, terriccio, polvere, fango, effettuati durante la lavorazione di oggetti usuali. Ciò ha richiesto azioni essenziali come scavare, versare, tagliare, ecc. che riconducono ai ritmi del lavoro, ai riti, ai giochi: un possibile ricupero di valori contenuti nel materiale stesso, di una pratica di mestiere primigenia e simbolica.
In seguito ho realizzato sempre su oggetti usuali, per tradizione in cotto, movimenti di liquidi quali l'acqua, i metalli fusi e di fluidi quali l'aria: una riscoperta delle antiche connessioni fra gli elementi e in particolare fra i procedimenti di lavorazione della ceramica e i procedimenti di lavorazione dei metalli per fusione.
Il seguente è un tentativo di schematizzazione di questo processo. Ha inizio con l'osservazione della fenomenologia del materiale:
- allo stato
liquido (fango)
solido (plastico, terriccio, polvere)
- durante le fasi di
essicazione
cottura
e parallelamente da uno studio di alcune azioni tipiche della lavorazione della ceramica o movimenti di lavoro:
- tagliare (movimenti di materiale solido sui piani generati dal taglio)
- versare (movimenti di materiale liquido o solido su elementi di terreno o su oggetti in cotto)
- scavare (movimenti di materiale solido su elementi di terreno o su oggetti in cotto)
e di ricerca su oggetti fittili:
ciotole, tegole, mattoni, piastre, ocarine, coni per mosaici, ecc.
Prosegue con l'accertamento di alcune proprietà fisiche:
- sonorità (strumenti a fiato e a percussione)
- porosità (oggetti atti a rendere evidenti fenomeni di porosità e capillarità)
e con la ricerca di rapporti del materiale terracotta con
- gli elementi, secondo gli antichi, costitutivi del mondo fisico (terra, acqua, aria, fuoco)
- gli elementi, secondo la chimica odierna, che si trovano in natura come tali (piombo, mercurio, oro, stagno, ecc.)
STUDIOERRE
Contrada Mondovì 18
Cuneo
Direzione Silvio Rosso
Nell'azione che Antibo propone le tazze sono poste su di un tavolo per essere usate.
E' dunque da dire sul loro valore d'uso. Sulla loro natura di prodotti dell'operatività artistica esibiti non come bene privilegiato che induce a mantenere le distanze (ed è così eliminato il diaframma che separa materialmente dall'opera): sono predisposti uno spazio a parte e oggetti che non appartengono alla nostra usuale pratica delle cose. Tazze da suonare ma non solo. Da vedere toccare manipolare insieme (nel duplice significato di molteplicità di usi nella situazione data di un rapporto interpersonale). Indicativamente, un esperirle di cui è parte l'osservazione e la riflessione: il riconoscerle in quanto terra-materia ma anche terra-cibo, nell'identificazione, attraverso la materia, tra utensile-contenitore e contenuto, prima ancora che strumento, reperto archeologico ed altro che non può essere anticipato: il discorso non può precedere l'evento che pretende di definire. Qui l'opera assume significato solo attraverso l'intervento dei partecipanti.
La contiguità con gli oggetti (e tra gli uomini, che sempre entrano in rapporto tra loro mediante le cose) apre ad una esperienza di comunicazione che richiama una primarietà come recuperata dagli strati sepolti della memoria collettiva.
L'"a priori" dato dalla presenza, non eliminabile, dell'operatore, è limitato allo stretto necessario per dar vita a quell'occasione di incontro che è il progetto di azione.
Stelio Rescio
Via Isola 40
17012 Albissola Marina (SV)
Nelle terrecotte presentate hanno molta parte la fenomenologia del materiale, le interazioni fra l'argilla allo stato plastico, terriccio, polvere, fango e gli oggetti d'uso. L'intervento manuale è minimo: elementari movimenti di parti di materiale si sommano alle contrazioni di essicazione.
Ciò richiede azioni essenziali della manipolazione ceramica come scavare, versare, tagliare, ecc., che riconducono ai ritmi del lavoro, ai giochi, ai riti: un possibile recupero di valori contenuti nel materiale stesso e in una pratica di mestiere.
Alla ricerca di rapporti fra gli oggetti d'uso, il materiale di cui sono fatti, i procedimenti di lavorazione segue una ricerca di rapporti fra il cotto, l'acqua, i metalli fusi, l'aria: una riscoperta delle antiche connessioni con la agricoltura, i procedimenti di lavorazione dei metalli per fusione, la musica.
Firenze 1980
Gli oggetti d'uso in cotto sono rimasti, nel tempo, strutturalmente uguali. La forma, la materia di cui sono fatti traducono abitudini e bisogni umani. Non usati sono segni, usati sono sede di azioni.
Gli oggetti presentati sono da usare e dimostrativi del rapporto terra-terracotta e delle analogie che intercorrono fra le azioni del bere, del fumare e del suonare.
IV Rassegna nazionale della ceramica
Regione Siciliana
Comune di Caltagirone
Palazzo del Bonaiuto
a cura di Filiberto Menna e Maria Torrente
…Attilio Antibo usa il cotto per indagare fenomenologicamente due ordini di eventi: uno di ordine naturale, gli accadimenti organici della terra nei suoi vari stati, solido (plastico, terriccio, polvere), liquido (fango) e nelle sue fasi di essicazione e cottura; l'altro di ordine fattuale, momenti e movimenti del lavoro, tagliare, versare, scavare, tutte le azioni che appartengono al procedimento della ceramica.
Pausa meditativa, autoriflessione critica sulle ragioni e sui mezzi linguistici dell'arte conseguente al rifiuto non solo della funzione dell'oggetto ma anche dell'oggetto stesso, compiuto ed esteticamente connotato a priori, che offre al fruitore unicamente possibilità di lettura indotta e passiva. La sua ricerca si svolge parallelamente sul piano dell'indagine-censimento degli oggetti fittili primari, piatti, vasi, ciotole, tessere di mosaico, strumenti musicali popolari, tegole, mattoni, piastre per pavimento, "elenco" per una contro-archeologia, schedatura per un'antropologia ipotetica. L'analisi si allarga a ventaglio allo studio del rapporto tra il materiale terracotta e i quattro elementi della cosmologia di Empedocle, terra, acqua, aria e fuoco, le "radici del tutto", nonché all'esame degli elementi secondo i metodi della scienza moderna.
E' analisi che tende, tutto sommato, alla sintesi in cui però la sintesi viene continuamente rimessa in discussione, come se una calcolatrice avesse deciso di fare di testa sua e riportasse tutti i conti allo zero; è un'analisi dell'analisi o, paradossalmente, una "critica della critica" che ritorna su se stessa, un attraversamento di tutta la cultura, un trapassare da uno statuto al suo contrario che assume il divenire come il solo possibile fondamento di un'idea del mondo. "La tazza è di terracotta / contiene terra cotta e aria / da mettere in vibrazione con un soffio / Avvicinandola alle labbra, come per bere / porti la terra all'altezza / degli occhi del naso degli orecchi / senti il sapore l'odore il suono: / diventi formica, serpe, lucertola, scorpione".
Catalogo della mostra
Castello Sforzesco, Milano 1981
Gli utensili che servono per lalavorazione della terracotta, per la sua modellazione e per la sua sezione (dalla mano dell'uomo al filo d'acciaio) entrano nelle recenti opere di Attilio Antibo come protagonisti accanto all'oggetto di terracotta vero e proprio. Sono assemblaggi in cui, alla semplicità dell'architettura complessiva si associa l'estrema naturalezza e politezza del materiale lavorato nelle forme elementari dell'attività fittile (il contenitore, il piatto, lo strumento musicale) tradizionale o allo stadio ancora più semplice della stratificazione della terra.
D'altra parte Antibo ricerca l'espressività all'interno stesso del materiale, studiato prima di tutto nel suo comportamento dallo stato iniziale alla cottura; dalla plasticità della creta alla compattezza del prodotto finito avvengono spostamenti e mutamenti di tensione della materia che possono provocare la spaccatura, la crepatura della forma immaginata. E' in questo rapporto fra il comportamento del materiale e immagine di partenza che l'operazione di Antibo acquista il suo interesse: "L'interesse manuale è minimo. Volto a rendere evidente tale dinamicità del materiale, richiede azioni essenziali proprie della manipolazione ceramica, come scavare, versare, tagliare, ecc., che riconducono ai ritmi del lavoro, ai giochi, ai riti: un possibile recupero di valori contenuti nel materiale stesso e in una pratica di mestiere".
Così Antibo esprime la consonanza fra oggetto finito e il processo di ideazione e realizzazione che l'ha determinato: e è in questa prospettiva che deve essere letta, nelle sue opere più recenti, la ricorrenza di uno strumento musicale, sia esso inserito in un complesso oggettuale più vasto, o tale da costituire la figura complessiva. Una evocazione dell'uso tradizionale della materia e il suo assemblaggio creativo in un "nuovo" strumento che ne mantenga e amplifichi le caratteristiche.
Alberto Veca
Catalogo della mostra CERAMICA RICERCA OGGI (Albrito, Antibo, Bocca, Carlè, L'Acqua)
Museo della ceramica di Albissola Marina 1983
Presentazione di Viana Conti
Attilio Antibo costruisce oggetti che intrattengono un diretto rapporto con il corpo. Si tratti di ciotole, brocche, scodelle, imbuti esiste sempre in essi un elemento che si porge alla mano per essere toccato e fatto vibrare o alla bocca per essere fatto risuonare. Manualità e oralità sono le connotazioni fondamentali di queste "cose di terra" che vengono realizzate artigianalmente e destinate a essere racchiuse tra le mani e portate alla bocca per venire suonate, come richiede la loro natura di "strumento" (così le definisce lo stesso autore). Nascono infatti come cavità che si restringono ai bordi e che invitano un contatto. Queste opere dalla esistenza plastica e sonora, si realizzano come risonanza interiore che l'artista esprime in forma. E' riscontrabile in queste argille ingobbiate con terre naturali la memoria della produzione fittile tradizionale e insieme degli attrezzi legati alla loro lavorazione. Spesso tali oggetti che possono riportare al mondo dell'infanzia e della vecchiaia (cavità come culla diventa il ricordo dell'albergo iniziale e di quello finale) vengono attraversati da un filo di acciaio, un bastoncino di legno, un ramo, una canna, una corda. Il mondo degli oggetti di Antibo non è mai solo da guardare ma da prendere tra le mani e ascoltare. Nel 1982 tra i suoi strumenti ce n'era uno destinato ad essere "portato" dall'artista lungo un percorso, come un attrezzo agricolo che veniva adattato al corpo dell'uomo. Sul terreno restava disegnata una traccia dal terriccio che fuoriusciva dall'imboccatura sottostante dello strumento , durante l'azione di trascinamento. In ogni sua opera di terra l'autore crea un percorso di risalita nella memoria e di stimolazione al recupero di contatti fisici perduti. Un foro, un taglio, l'estremità di un flauto, affiorante dal corpo di un oggetto di terra, invitano ad accostare le labbra, a immettere fiato e a riascoltare una sonorità di ritorno. Fino al 1982 si può individuare nel lavoro di Antibo un'attitudine a mettere in rilievo il momento sacro e rituale degli oggetti che realizza. Oggetti sempre estratti dalla quotidianità e immessi in una sfera magica, sempre riconoscibili fisicamente eppure estraniati da un uso estetico.
Nel 1983 questi elementi fondamentali hanno rinunciato, in parte, alla solennità ed alla sacralità per trovare una dimensione più ludica e ironica. Sono rimasti sostanzialmente oggetti di terra, hanno mantenuto la loro esistenza plastica e sonora, ma si sono colorati di uno spirito più smitizzato e giocoso. La loro iconografia ha allentato il legame con le forme arcaiche della utensileria quotidiana e si è lucidamente spinta verso l'immaginario della vita metropolitana. I superjet che solcano il cielo, i transatlantici di linea, le piste di volo che hanno perso l'aspetto ipertecnologico in queste ceramiche maculate, zebrate, colorate intensamente di giallo, nero, bruno, ocra antico per diventare spiritosi "giocattoli" che atterrano sul bordo di un vaso, su una nuvola che sembra un gelato al cacao, sulla fiancata di una nave lambita da onde a ricciolo. Anche se da una parte dell'autore l'approccio all'oggetto è cambiato, tuttavia è più che mai avvertibile la sua "destinazione uomo". La si coglie nella presenza di un fischietto posto, un po’ obliquamente, alla sommità di una nuvola o nel mistero del cavo di una nave-brocca tutta addossata a cirri e marosi, di sapore vagamente "postmodern". Anche il ricordo del legno e del ramo ritorna in un sorprendente boschetto d'alberi illuminato dal sole.
La natura delle sue opere passate non è mai stata tradita, ma tradotta, in altra chiave, in un oggetto che ha la levità e immediatezza di lettura del "motto di spirito". Si tratta sempre di "cose sonore" che l'autore intitola "strumenti votivi", realizzate in argilla ingobbiata, cotta a 950°. Si è assottigliato in essi lo spessore antropologico, che li circondava di un'aura di solennità, e si è accresciuto, attraverso elementi plastici, pittorici, decorativi e tattili, il livello di spaesamento poetico.
Viana Conti